Intervista: Andrea Frediani

L’INTERVISTA: ANDREA FREDIANI

D: Lei si è sempre occupato di storia. Oggi, nell’era delle rivoluzioni  tecnologiche, cosa possiamo trarre dallo studio del passato?

Si dice che la storia sia magistra vitae non a caso. Una volta un uomo politico
italiano tuttora in attività, ma con un partito fortemente ridimensionato rispetto
a un tempo, disse: «Io la storia non la studio, io la faccio». Ma se l’avesse studiata, prima di farla, probabilmente non avrebbe fatto un mucchio di errori e ora il suo partito non sarebbe ridotto ai minimi termini. La realtà è che al centro della storia c’è sempre l’uomo e le pulsioni dell’uomo non cambiano. Cambiano i contesti, le  dinamiche, le civiltà, ma non l’animo umano, che tende sempre a replicare gli stessi comportamenti. Per questo quel genio di Isaac Asimov creò con Hari Seldon, il suo personaggio più riuscito, la “psicostoria”, una scienza in grado di “prevedere il futuro” sulla base dello studio del passato, per evitare l’impero galattico di Trantor i secoli bui seguiti alla caduta dell’impero romano. Molti storici, attualmente, vedono delle forti assonanze tra l’attuale epoca e quella della caduta dell’impero romano. Ma è anche vero che le epoche cosiddette di decadenza vanno considerate, storicamente parlando, più “di transizione”. Una civiltà, più che declinare, si trasforma in qualcosa di diverso. La storia dell’impero romano ci insegna che all’impero centralizzato si sostituirono, in forza della pressione migratoria, diversi regni-romanobarbarici, che combinavano elementi del mondo romano con quelli dei popoli che lo avevano invaso. Che poi erano fondamentalmente dei migranti in cerca del benessere che l’impero offriva ai suoi abitanti; gente fuggita dalle razzie degli unni e dallo squallore delle paludi e delle foreste in cui abitavano. Non a caso, era stato l’impero stesso a ingaggiarli, sulle prime, per compensare carenze di manodopera in molti campi, da quello agricolo a quello militare. Come si vede, ogni civiltà si espande e raggiunge il suo apice con spirito di iniziativa e aggressività, per poi godersi il successo e delegare agli immigrati i compiti più sgradevoli, finché gli immigrati, spinti dall’aspirazione alla crescita e temprati dal duro lavoro, non finiscono per prendere le redini della società, in luogo degli autoctoni infiacchiti dagli agi e dal benessere. E’ per questo che i nostri ragazzi devono studiare e impegnarsi, se non vogliono essere relegati a ruoli subalterni rispetto a chi, motivato da una giusta aspirazione alla crescita sociale ed economica, si prepara per essere la futura classe dirigente. Ma è anche per questo – e la storia ce lo insegna – che non bisogna opporsi  all’avvicendamento che, se all’inizio potrebbe apparire come una stasi o, peggio ancora, una regressione della civiltà, alla lunga si rivela per ciò che è, ovvero l’immissione di linfa vitale e di motivazioni in una società declinante.

Breve biografia dell’autore: 

Andrea Frediani nasce nel 1963 a Roma,  dove vive e lavora tuttora. Laureato in  Lettere, con tesi in Storia Medievale.  Storico, saggista, romanziere, collabora  con varie riviste tra le quali Focus Storia  Wars. Nel 1997 pubblica il suo primo  libro, Gli assedi di Roma, vincitore nel  1998 del premio Orient Express come  miglior opera di Romanistica dell’anno.  Con la Newton & Compton pubblica  diversi volumi sulle celebri battaglie  della storia. Nel 2007 arriva il suo primo  romanzo, Trecento guerrieri, la  battaglia delle Termopili cui ne seguono  molti altri. Nel 2010 pubblica la trilogia  Dictator: L’ombra di Cesare, Il nemico di  Cesare, Il trionfo di Cesare con cui vince  il Premio Selezione Bancarella. Nel 2020  ha scritto Il bibliotecario di Auschwitz,  un romanzo ispirato a una storia vera  sulla tragica realtà dei campi di  sterminio.

Il trionfo di Mario di G.B. Tiepolo, 1729

D: Nella Sua carriera ha scritto sia come saggista sia come romanziere. Qual è, a Suo giudizio, il rapporto tra queste due forme di produzione letteraria?

R: Io mi considero un divulgatore, innanzitutto. Quindi, saggistica e narrativa sono le due forme attraverso le quali cerco di trasmettere la mia passione per la storia agli altri. Naturalmente, la saggistica è destinata a chi già è appassionato di storia e vuole saperne di più senza dover necessariamente affrontare un testo universitario o un trattato, mentre la narrativa è destinata agli utenti che magari a scuola la storia la detestavano perché era spiegata male. Molti professori dimenticano infatti che al centro della storia c’è sempre l’uomo, coi suoi odi e gli amori, le ambizioni e le frustrazioni, e soprattutto le sue sfide: tutti ingredienti per costruire un bel romanzo in grado di avvincere chiunque ami la fiction, a prescindere dal contesto storico; perché così, alla fine, un romanzo storico non è altro che un normale romanzo (thriller, rosa, d’avventura o politico), solo, ambientato in un’altra epoca…

D: Recentemente ha scritto “Il bibliotecario di Auschwitz”. Cosa l’ha spinto ad ambientare un romanzo in quel periodo?

R: Ho deciso di dedicare il resto della mia vita a combattere il negazionismo, in ogni sua forma. Al contrario dei complottisti e dei negazionisti che, senza avere alcuna formazione specifica, si fanno di volta in volta astrofisici, virologi e storici, negando, dalla loro postazione internet, la sfericità della terra e lo sbarco sulla luna, l’esistenza del Covid, l’Olocausto, ho pertanto deciso di limitarmi all’approfondimento nel campo che mi compete, ovvero la storia, per rappresentare il mio punto di vista sulla “guerra razziale” di Hitler. Ne sentivo fortemente l’esigenza e sono convinto che sia il mio miglior romanzo, perché il più sentito e il più documentato, oltre che il più ispirato. D’altra parte, i negazionisti non osano negare altri fenomeni storici come le Crociate o il Risorgimento, perché non si ritengono competenti. Ma negano senza esitazioni l’Olocausto, che pure è assai più documentato e attestato di quegli altri argomenti, più lontani nel tempo. Il motivo è, pertanto, puramente ideologico…

D: Nei Suoi romanzi compaiono protagonisti assai diversi tra loro. Da Cesare al bibliotecario di Auschwitz, per citarne due, chi sono gli eroi della storia per Andrea Frediani?

R: Io sono convinto che il mestiere del divulgatore storico sia quello di portare alla luce gli eroi sconosciuti, come anche di analizzare ed esplicitare le vere motivazioni di quelli conosciuti. Se Howard Fast, nei primi anni ’60, non avesse scritto un romanzo su Spartaco, e Kubrick non ne avesse tratto un film, lo schiavo trace non sarebbe entrato nell’immaginario popolare e sarebbe stato uno dei tanti ribelli anonimi della storia romana, come tanti altri che meriterebbero la ribalta. Se Mel Gibson non avesse girato Braveheart, Wallace sarebbe un eroe conosciuto solo in Scozia e da pochi addetti ai lavori. Parimenti, se si va ad approfondire la psicologia dei grandi uomini, di coloro che hanno cambiato la storia, si scopre che avevano pulsioni molto umane, direi quasi meschine e infantili, e ciò che li distingueva dagli altri erano l’ambizione, la determinazione e la spregiudicatezza, soprattutto. Si sa che Cesare, al suo primo incarico importante, si mise a piangere davanti alla statua di Alessandro Magno, perché, sosteneva, aveva esattamente l’età di Alessandro quando era morto ma non aveva combinato ancora nulla di altrettanto grandioso… Quindi se l’era proprio messo in testa fin da ragazzo, di diventare un grande condottiero. Ecco, mi piace analizzare la psiche di questi “grandi eroi” come pure quella dei “piccoli eroi” che sono stati costretti a subire le azioni dei “grandi eroi”…

Intervista a cura di Leandro Stroppa

Autore

Leandro Stroppa

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