L’INTERVISTA: LUCIO LAMBERTI

D:  La pandemia ha rimesso in evidenza il ruolo centrale dello Stato nella gestione dei servizi sanitari. Ha senso nell’era della globalizzazione e delle grandi multinazionali pensare che anche nel settore economico gli Stati debbano assumere un ruolo maggiormente attivo?

R: Dopo un lungo periodo di deregulation, privatizzazioni e riduzione del ruolo dello stato a favore del mercato e degli operatori privati, gli anni 2000 si sono caratterizzati sempre più per il ritorno prepotente degli Stati sia nella fase regolatoria che ispettiva e di diretto intervento. L’attentato alle torri gemelle negli USA ha inaugurato un periodo di attenzione crescente al trasferimento del denaro e alla origine non delittuosa. Il patriot act in USA, seguito da normative simili negli altri paesi, ha di fatto cominciato l’era del controllo analitico dei flussi finanziari all’interno e all’esterno dei paesi, e le banche, gli intermediari e i consulenti collegati sono stati ingaggiati in questo nuovo quadro con una fitta rete di obblighi e responsabilità in tema di antiriciclaggio. La crisi finanziaria del 2008 e la crisi in area euro nel 2011, hanno segnato l’inizio di un impegno crescente di risorse pubbliche a favore del sistema finanziario, per evitare un collasso finanziario ed economico senza precedenti, e l’avvio di politiche monetarie ultraespansive con tassi sempre più vicini allo zero e acquisti di attivi finanziari da parte delle banche centrali. Con la pandemia il quadro si è arricchito di altre misure anticonvenzionali per evitare il collasso sociale globale e la crisi economica. Accanto a nuove misure monetarie, a aumenti ancora maggiori dei bilanci delle banche centrali, gli Stati hanno dovuto impegnarsi quotidianamente nel regolare le attività, il distanziamento sociale, la apertura e chiusura di esercizi commerciali, l’agevolazione o la penalizzazione di consumi, attività imprenditoriali, comportamenti. Era un cammino obbligato. Le economie avanzate come quella europea si sono trovate a dover fronteggiare il primo blocco totale delle attività, il rischio di licenziamenti di massa, il timore di fallimenti a catena. Alle fine tutti i grandi paesi si sono dovuti impegnare in piani di espansione fiscale simili solo ai pacchetti di intervento post bellici, come il piano Marshall dopo la II guerra mondiale.

In conclusione, quindi, oggi gli Stati sono destinati ad assumere un ruolo attivo come mai negli ultimi settanta anni, in palese contrappeso al crescente potere delle multinazionali. La dialettica di potere sarà crescente soprattutto nei settori sensibili, come la salute (si pensi al problema dei vaccini), il controllo delle informazioni e della rete, la logistica e distribuzione (si pensi al crescente carattere dominante di aziende come Amazon in occidente o Ali Baba in Asia), l’intelligenza artificiale e  l’energia.

D: Che cosa è esattamente il programma “Next generation EU“, e in che modo è rivolto alle future generazioni?

R: È lo strumento fiscale deciso in Europa per stimolare la ripresa e ricostruire l’Europa dopo la pandemia di COVID-19. Partorito dopo un lungo periodo di contrattazione, è il più ingente pacchetto di misure di stimolo mai finanziato: un totale di oltre 1 800 miliardi di euro, da utilizzare nel periodo 2021-2023. Oltre il 50% dell’importo sosterrà la modernizzazione, per esempio tramite la ricerca e l’innovazione (programma Orizzonte Europa), la transizione ecologica, la transizione al digitale, la salute. Altro elemento di attenzione è la lotta ai cambiamenti climatici, a cui verrà riservato il 30% dei fondi europei, la più alta percentuale di sempre per il bilancio dell’UE. Il nuovo bilancio a lungo termine potenzierà inoltre i meccanismi di flessibilità volti a garantire la possibilità di fare fronte a esigenze impreviste. Sarà quindi adeguato non solo alle realtà attuali, ma anche alle incertezze future.

E’ rivolto quindi alle future generazioni in due modi: il lato positivo della medaglia è il tentativo di stimolare un cambio profondo delle economie europee verso obiettivi più efficienti e sostenibili. Il lato negativo è il fardello di debiti che viene trasferito alle generazioni future. Di qui la responsabilità eccezionale delle classi dirigenti di questi anni per un uso responsabile ed efficace delle risorse.  

D:  Il recente caso speculativo di Gamestop, orchestrato sulla piattaforma Reddit da ragazzi digiuni di economia, ha riacceso il dibattito sul connubio tra mondo digitale e finanza. Le banche centrali e le autorità regolatrici sono pronte a gestire questo nuovo fenomeno?

R: La vicenda Gamestop ha messo in evidenza una volta di più la fragilità e la manovrabilità dei mercati finanziari, nonostante l’imponente impianto regolatorio sia nazionale che sovranazionale (norme di regolamento dei mercati e della concorrenza). Il sistema è vulnerabile di fronte a comportamenti manifestamente manipolatori, perché la strumentazione finanziaria innovativa rende possibile gli acquisti a leva, le operazioni allo scoperto, in altre parole la finanza non finalizzata alla economia.

La novità di Gamestop è l’aver mostrato che questi comportamenti manipolatori possono essere attuati non solo dalle élite del risparmio, in salotti chiusi, o da fondi speculativi autorizzati ad operare con risorse non proprie e in modo totalmente speculativo, ma anche da gruppi organizzati tramite social, riuniti spontaneamente in modo del tutto pubblico e noto. Il segreto è la velocità e la ampiezza dei mezzi, raggiunta in questo caso con la forza del numero dei partecipati più che con la dimensione del singolo fondo gestito.

In generale i mercati hanno bisogno di nuove regole per riannodare il valore ancellare della finanza rispetto all’economia, la sua funzionalità allo sviluppo, e ridurre la rischiosità sistemica di una finanza troppo selvaggia.

D:  Per finire, che rapporto sussiste – o può sussistere – tra etica e finanza ? 

R: Un rapporto stretto, strettissimo. Ogni azione umana – sia essa di produzione, di consumo o di investimento – ha un impatto diretto o indiretto sull’ambiente circostante e sulla organizzazione del lavoro, anche se spesso le ideologie liberiste hanno proposto l’idea di un uomo economico ispirato solo dal vantaggio contabile di un numero e dalla sua rischiosità numerica. Quale che sia lo strumento, la domanda che si pone questo ‘uomo economico’ è quindi quanto guadagnerò in termini monetari e con che rischio. Un mondo bidimensionale, che mortifica la complessità dell’uomo, la sua adesione a principi diversi, a giudizi sul valore dell’uomo e della sua centralità nella vita. I guasti di questo comportamento si sono visti negli anni scorsi, dominati da un eccessivo fideismo nella   tecnica e nel tecnicismo, con le sempre più frequenti crisi sistemiche, truffe, fallimenti. Comprare una azione, o finanziare una obbligazione di una società, significa partecipare ai risultati della impresa, di fatto condividerne i valori e le modalità di perseguire l’attività economica. Non a caso si parla sempre più di sostenibilità, e l’industria del risparmio gestito si sta attrezzando in modo sempre più sofisticato nel rispondere a questo bisogno di multidimensionalità.

Breve biografia dell’intervistato: Economista e opinionista, Docente in Scienza delle Finanze, Politica Economica ed Analisi dei Mercati Finanziari, Wealth manager Gruppo Intesa, Consulente e membro di organismi scientifici di Enti e Organizzazioni. Ha ricoperto dal 1988 ruoli di primo piano in primarie banche internazionali, in Italia e all’estero.

Intervista a cura di Leandro Stroppa

Autore

Leandro Stroppa

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