«You’re gonna carry that weight» – Recensione di Cowboy Bebop

Ognuno di noi a un certo punto nella vita si troverà a doversi confrontare con quello che è il suo passato, felice o infelice che sia; dovrà affrontarlo, accettarlo, ed andare avanti, continuare a vivere senza lasciarsi influenzare da ciò che è stato. Eppure non è semplice, soprattutto quando il passato è talmente doloroso che non riusciamo a superarlo, e decidiamo così di vivere in un’illusione, in un sogno dal quale non vogliamo svegliarci. Proprio di questo ci parla Cowboy Bebop, capolavoro del maestro Watanabe del 1998.

In Cowboy Bebop non troverete i soliti eroi coraggiosi, solari, intraprendenti e dalla volontà ferrea, ma dovrete accontentarvi di personaggi normali, pieni di difetti e contraddizioni, e con un gravoso peso sulle spalle che gli impedisce di vivere serenamente: il passato. Ognuno di loro ha un passato diverso, ognuno di loro ha qualcosa da cui tenta di fuggire rifugiandosi in una realtà fittizia, un sogno. Le loro vite sono ormai prive di uno scopo preciso, non hanno un obiettivo da perseguire o una meta da raggiungere, per questo lasciano le redini del loro destino e si abbandonano allo scorrere degli eventi; è celebre la frase «whatever happens, happens» pronunciata da Spike, il personaggio principale, in uno dei tanti momenti in cui la sua vita è a rischio. 

Il sogno a cui alludo è un susseguirsi di giornate vuote e simili tra loro, nelle quali i nostri protagonisti si interessano solo alla mera sopravvivenza cercando di evitare il più possibile il confronto con quello che è il loro passato. Da questo deriva la struttura apparentemente antologica della serie: gli episodi inizialmente sembrano scollegati gli uni dagli altri e caratterizzati dalla ripetizione di una medesima struttura narrativa, ma solo successivamente ci rendiamo conto che la chiave di lettura per capire questa ripetitività è proprio il sogno di cui ho parlato poc’anzi: i vari episodi autoconclusivi e chiusi in se stessi rappresentano la dimensione senza pensieri o responsabilità in cui i personaggi trascorrono le loro monotone giornate, all’insegna di uno spleen favolistico e morbosamente vagheggiato. Ad ogni modo, tutto prima o poi giunge ad una fine, anche i sogni: ognuno dei protagonisti dovrà, volente o nolente, affrontare il proprio passato, ed il risultato purtroppo non sarà sempre quello sperato. 

Perché molti non riescono a comprendere il profondo significato dell’opera? Personalmente ritengo che il pubblico al quale questa serie si indirizzi veramente sia un pubblico adulto, maturo, che sappia cosa significa farsi carico del peso del passato per il resto della vita; solo le persone che hanno accettato i propri trascorsi come parte di sé sanno cosa significhi la frase che appare alla fine dell’ultimo episodio: «you’re gonna carry that weight»

Cos’altro posso dirvi su questa serie? Certo potrei passare un’intera giornata a parlarvi dei singoli personaggi e di come ognuno di loro mi abbia affascinato in modo diverso, potrei parlarvi delle particolari avventure che viviamo insieme a loro o magari della geniale colonna sonora blues/jazz che ci accompagna dal primo all’ultimo episodio; ma preferisco lasciare che vi godiate tutto questo coi vostri occhi. 

Avete bisogno di un altro motivo ancora? C’è un adorabile corgi che ruberà la scena ad ogni sua comparsa e vi terrà incollati allo schermo.

«See you, space cowboy…»

Autore

Andrea Centineo

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