Il primo riconoscimento ufficiale e giuridico della violenza ostetrica è avvenuto in Venezuela nel 2007, quando venne definita come «Appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella “patologizzazione” dei processi naturali avendo come conseguenza la perdita di autonomia e della capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna» nella “Ley Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia”.
La violenza ostetrica, dunque, non è una pratica attribuibile solo a chi di professione fa l’ostetric*, ma è un’abuso che avviene nell’ambito generale delle cure ostetrico-ginecologiche e che può, pertanto, essere realizzato da tutti gli operatori sanitari che prestano assistenza alla donna e al neonato (ginecolog*, ostetric* o altre figure professionali di supporto).
Si parla di abuso fisico diretto, abuso verbale, procedure mediche coercitive o non acconsentite (inclusa la sterilizzazione), mancanza di riservatezza, carenza di un consenso realmente informato, rifiuto di offrire un’adeguata terapia per il dolore, gravi violazioni della privacy, rifiuto di ricezione nelle strutture ospedaliere, trascuratezza nell’assistenza al parto con complicazioni altrimenti evitabili che mettono in pericolo la vita della donna e detenzione delle donne e dei loro bambini nelle strutture dopo la nascita per via di un’impossibilità a pagare (questo nei paesi nei quali la sanità non è pubblica).
Nel 1972 alcuni collettivi femministi di Ferrara promossero la campagna Basta tacere, ideata per dare uno spazio alle donne nelle quali condividere le loro esperienze. (I”l personale è politico”, ovvero che finché non so che altre persone soffrono la mia stessa situazione, non farò mai rumore per cambiarla).
Nell’aprile del 2016 questa campagna è stata rilanciata su Facebook per iniziativa di Elena Skoko, promotrice dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica (OVOItalia), nato in seguito allo scalpore generato.
Proprio su commissione di questo Osservatorio è stata condotta l’indagine nazionale Doxa: “Le donne e il parto” su uncampione rappresentativo di circa 5 milioni di donne italiane di età compresa tra i 18 e i 54 anni con almeno un figlio di meno di 14 anni.
I dati mostrano come per 4 donne su 10 (41 per cento) l’assistenza al parto è stata lesiva della loro dignità e integrità psicofisica.
Inoltre, nel 2016 è stata presentata la ricerca Optibirth condotta in otto paesi europei – compresa l’Italia – da un gruppo di operatori (In gran parte ostetriche ma anche ginecologi, epidemiologi e statistici), la quale mostra come ci sia una correlazione tra un numero sempre crescente di cesarei al progressivo processo di medicalizzazione che condiziona l’autonoma scelta delle donne.
«Una donna anche ben informata – ha spiegato la responsabile del progetto in Italia – per partorire si affida al suo ginecologo, ma il professionista di cui la donna ha fiducia è quello che le dice che non ce la farà a partorire».
Un cesareo non necessario o una cattiva informazione sulle proprie possibilità di scelta, così come un obbligo per la donna di assumere durante il travaglio la posizione standard e non quella che preferisce, rientrano infatti nel concetto di violenza ostetrica.
Ora, perché non se ne parla? La risposta è semplice, ed è alla base di iniziative come Basta tacere: se non sai che altre persone subiscono una discriminazione di questo tipo, finirai sempre con il dirti che forse stai esagerando, che forse sei solo troppo sensibile, che forse hai fatto qualcosa che ha fatto irritare chi avrebbe dovuto prendersi cura di te in modo adeguato ed invece non lo ha fatto.
E per questo esatto motivo è invece importante e doveroso parlarne: perché più persone sono a conoscenza di questo fatto, meno persone si sentiranno sole nel loro dolore e, pertanto, più persone potranno essere aiutate.