Film di Edgar Wright con Ayna Taylor Joy, Thomasin Mckenzie e Matt Smith del 2021. Un’ambiziosa studentessa di Art Design finisce negli anni 60 e lì vive le peripezie di una aspirante cantante. Il tutto assume caratteri misteriosi e inquietanti.
Dopo la “trilogia del cornetto”, il regista inglese Edgar Wright sembra aver deciso di riscrivere i generi da lui stesso parodiati (e omaggiati) in quest’ultima e vuole farlo aggiungendo a trame classiche una colonna sonora persistente che dà ritmo e sostanza al tutto. Se in “Baby Driver” applicava questo concetto al cinema action/noir (che aveva preso in giro in “Hot Fuzz”) qua prende l’horror ( filtrato attraverso la commedia in “Shaun of The Dead”) e lo riempie di suggestioni musicali anni 60. È quindi facile pensare ad un’ipotetica e nuova trilogia seguendo questa logica di riadattamento dei generi delle sue prime pellicole; il suo prossimo lavoro dovrebbe essere uno sci-fi musical.
Nella prima parte si assiste a continui sbalzi di umore da parte della protagonista e noi la seguiamo cominciando ad andare in ansia ogni volta che si incontra un nuovo (spaventoso e grottesco allo stesso tempo) personaggio. Ed è un peccato che poi questi crudeli e strambi individui non vengano sfruttati in seguito. Quando si arriva a quella che è la svolta per la narrazione, ossia al salto indietro nel tempo, il tutto si fa più interessante, soprattutto dal punto di vista visivo, perché le trovate non mancano. Londra è messa in scena proprio come ha fatto Tarantino con Hollywood nel suo ultimo film. Tutto è nostalgico e immersivo, ci sono minuti interi in cui la macchina da presa ci fa da visita turistica attraverso una bellissima fotografia, e tutto è condito da una colonna sonora stupenda. C’è poi un assolo di canto che non può non ricordare “Mulholland Drive”, anche perché anche qui così come nel capolavoro di Lynch tutto è molto piacevole nella rappresentazione di balli e feste, ma il mondo dello spettacolo nasconde orribili verità.
La protagonista, prima di diventare la nemesi dell’altro personaggio femminile, è prima di tutto osservatrice. Ciò permette al pubblico una doppia paura per l’una e per l’altra e anche un’escalation di ansia, perché, se nella prima parte proviamo compassione per l’ingenuo personaggio interpretato da Ayna Taylor Joy e la tensione proviene da una preoccupazione nei suoi riguardi, poi tutto diviene concreto ed è così che la paura aumenta.
Dopo il primo jumpscare, il tutto diventa ripetitivo, poiché l’esasperazione diviene costante e non c’è più la gradualità che prima permetteva inquietudine; rimane una serie di sequenze fin troppo uguali a loro stesse e che non fanno arrivare alla rivelazione finale con molto entusiasmo. C’è il classico ribaltamento di ruoli che culmina in un colpo di scena verboso che non ha molto senso.
Il personaggio che enuncia lo spiegone non avrebbe motivo di rivelarsi e invece lo fa per un’esigenza del regista di concludere la storia. Il finale poi è fin troppo patetico e l’ultima inquadratura ad effetto (forzata anche questa) drammaturgicamente fa più di una piega. Alla base del film, come già detto, c’è il tema dei viaggi nel tempo. Espediente narrativo che non viene giustificato in alcun modo.
Il fatto è che basare un’intera pellicola su un’idea che ha dell’assurdo non può funzionare senza spiegazioni di nessun tipo. Il meglio che lo spettatore può fare è cercare di trovare qualche modo per far quadrare la trama, ma nessuna delle ipotesi che può avanzare (di carattere psicologico o fantasy) saranno sufficienti per far giudicare il film completo e riuscito.
VOTO: 7-