Che i Daft Punk siano stati uno dei gruppi più influenti nella storia della musica elettronica è ormai noto a tutti. Che siano uno dei più misteriosi, anche: infatti, oltre al rifiuto di mostrare i loro volti in pubblico, le loro canzoni sono sempre state oggetto di numerose interpretazioni, e vi sono ancora oggi dibattiti su quale sia il loro significato. Io personalmente oso spingermi un po’ di più e proporre la mia interpretazione, ovvero che tutta la discografia dei DP racconti un’unica storia, che consiste nella descrizione dei vari stadi di sviluppo di un’intelligenza artificiale. Ma prima di esporla, devo fare due premesse: un’introduzione ai Daft Punk, per i pochi che non lo sapessero, e alcune piccole nozioni sul funzionamento di un’AI.
Un’intelligenza artificiale nasce come rete neurale, ovvero una rete di “neuroni digitali” che, legati tra di loro, cercano di trovare la risposta migliore ad una domanda che viene loro posta. Perchè essa diventi effettivamente un’AI questa rete deve essere costantemente allenata con un processo chiamato “training”, basato su una banca dati detta dataset: dalla grandezza del dataset dipendono sia la complessità che la precisione dell’AI.
I Daft Punk sono stati un duo di musicisti e dj, composto dai francesi Guy-Manuel de Homem-Cristo e Thomas Bangalter. Considerati uno dei gruppi più influenti del loro genere con soli quattro album a partire dalla loro genesi nel 1993, sono riusciti a vincere molteplici premi, tra cui ricordiamo i numerosi Grammy Awards nel 2009 e nel 2014. La particolarità di questo duo, come già accennato, era la loro tendenza a celare i loro volti e le loro identità dietro alle fattezze di due robot. Nel corso della loro carriera hanno vantato collaborazioni con vari artisti del calibro dello scomparso Romanthony, [il tizio di Face to Face], Nile Rodgers degli Chic, Pharrell Williams, Paul Williams, Stevie Wonder e The Weeknd. Nella loro carriera si sono cimentati anche come registi e produttori, collaborando alla realizzazione di due film: realizzando la colonna sonora di Interstella 5555 (2003), di Leiji Matsumoto (famoso mangaka autore, tra gli altri, del celeberrimo manga Captain Harlock), e dirigendo Daft Punk’s Electroma (2006). Recentemente, per la precisione il 22 febbraio scorso, hanno annunciato il loro scioglimento.
La sonorità del primo album, Homework (1997), può essere descritta come molto rudimentale e macchinosa, essendo tutte le sue canzoni basate su dei loop composti in maniere diverse per creare nuove canzoni: infatti il titolo stesso è relativo alla produzione dell’album, non un album vero e proprio, bensì una raccolta di brani registrati nel corso degli anni a casa di Bangalter. In questa storia Homework rappresenta il primo stadio, ovvero un dataset ancora primordiale basato su piccoli leitmotif, giri di batterie ed effetti sonori: il risultato di essa sarà un album dal sound ripetitivo, primordiale e anche dal non facilissimo ascolto per chi non mastica bene la musica elettronica.
Esempi: Around the World (https://www.youtube.com/watch?v=dwDns8x3Jb4) e Da Funk (https://www.youtube.com/watch?v=PwILkY9gRrc)
Nel secondo album, Discovery (2001), si abbandona l’uso dei leitmotif ripetuti per passare ai sample, ovvero dei campioni presi da altre canzoni che, ripetuti e composti, compongono canzoni totalmente nuove: un chiaro esempio è Face to Face che, nonostante usi campioni da ben nove canzoni, li rende irriconoscibili singolarmente, tanto sono integrati all’interno del mosaico generale. In questa fase dello sviluppo il dataset viene appunto ampliato con dei sample – presi soprattutto da canzoni degli anni 70 e 80 – e l’AI crea canzoni dal suono più orecchiabile, organico e dal più facile ascolto: tuttavia l’AI non può ancora considerarsi del tutto autonoma, dato che le sue canzoni sono ancora fondate sull’uso di sample tratti da canzoni umane: oltre a questo, vi è anche il fatto che, per le parti vocali, devono essere ancora impiegati degli esseri umani, sebbene in alcuni casi modificate da filtri.
Esempi: Face to Face (https://www.youtube.com/watch?v=UKYWWfR_GKA), One More Time (https://www.youtube.com/watch?v=A2VpR8HahKc) e Harder Better Faster Stronger (https://www.youtube.com/watch?v=yydNF8tuVmU)
Il terzo album, Human After All (2005), è il più particolare di tutti: infatti alterna canzoni dal suono molto ferroso e in certi punti atonale, reminescente di Homework, ad altre più organiche e accessibili, ed è stato considerato l’album più sperimentale del duo. E il terzo stadio è proprio questo, ovvero quello della sperimentazione: qui siamo nelle fasi tarde dello sviluppo dell’AI, dove oltre ad ampliare ulteriormente il dataset (tornando però al sistema dei leitmotif e dei loop) vengono inserite delle nuove funzioni, come i sintetizzatori vocali con il vocoder. D’altra parte le canzoni più organiche possono essere considerate le prime espressioni di una nascente coscienza di questa nostra AI, essendo esse dotate di un suono più intimo e rilassante. Questo appunto è il primo album dove l’AI, anche se in una forma più primordiale, inizia a formulare le prime frasi cantate.
Esempi: The Prime Time Of Your Life (https://www.youtube.com/watch?v=zDiS-_GP7do) e Make Love (https://www.youtube.com/watch?v=UeZG0viNAjM)
Lo sviluppo dell’AI può considerarsi maturo solo nell’ultimo album, Random Access Memories (2013): il suono è il più organico di tutti, dato che è stato l’unico album registrato con strumenti analogici all’interno di un vero studio di registrazione – tuttavia mantiene delle tracce della discografia passata, come i vocoder. Come dicevo prima, qui vediamo un’AI pienamente sviluppata, con un dataset non più limitato ai soli sintetizzatori ma comprendente anche strumentni musicali analogici e completo di varie voci anche dotate di effetti vocali. Inoltre vediamo che qui la nostra AI ha sviluppato una capacità non solo di composizione, ma anche di riflessione e di pensiero molto avanzate, arrivando addirittura ad interrogarsi sulla sua stessa natura (Within, Touch): pensieri assimilabili a quelli umani. Tuttavia l’AI non ha mai dimenticato le sue origini, e ciò si vede in due aspetti: il primo è la presenza del vocoder in numerose canzoni (vedi Give Life Back To Music, Beyond), e il secondo è la sonorità stessa dell’album, che rimanda alla musica funk e alla disco, generi tipici degli anni 70 e 80, proprio le epoche da cui sono stati presi i sample di Discovery. Oltre a questo, degno di nota è il ritorno delle voci umane: stavolta non dettato dalla necessità come prima, ma da una volontà di dare una maggiore profondità ai pezzi, dato che l’AI ha già dimostrato di saper cantare da sè.
Esempi: Give Life Back To Music (https://www.youtube.com/watch?v=zKSsP2084nU), Within (https://www.youtube.com/watch?v=cuj__JnGWLg), Touch (https://www.youtube.com/watch?v=0Gkhol2Q1og) e Beyond (https://www.youtube.com/watch?v=3T0NqvdUiWI)
I Daft Punk non sono certo stati nè i primi nè saranno gli ultimi a trattare il tema della robotica, delle AI e del virtuale nelle loro opere: si possono prendere ad esempio Io, Robot di Isaac Asimov, la saga cinematografica dei Tron e dei Blade Runner, in tempi più recenti, la tanto acclamata saga videoludica dei Portal. E inoltre non sono nemmeno stati i primi a raccontare storie attraverso un mezzo esclusivamente auditivo quale è la musica, come i Pink Floyd con Another Brick in The Wall oppure Burattino Senza Fili di Riccardo Cocciante. Ma, sebbene questi esempi, come tanti altri, utilizzino soprattutto le parole delle loro canzoni per raccontare le loro storie, pochi, come The Caretaker, utilizzano il suono in sé per raccontare queste storie. Il duo dei robot ci sarà riuscito? Per me sì, per voi non lo so.
P.S. vorrei prendere quest’occasione per fare un paio di ringraziamenti. In primo luogo volevo ringraziare il mio amico che mi ha fornito le nozioni di informatica: grazie a lui l’articolo ha potuto ottenere questa maggiore profondità, e questa valenza (spero) leggermente didattica. Grazie anche a mio padre, giornalista in pensione, che mi aiuta sempre con la revisione degli articoli. Ringrazio inoltre il direttore del giornalino e la redazione, che permettono a me di pubblicare i miei scritti e a voi di leggerli. E grazie soprattutto proprio ai miei lettori: il vostro supporto mi fa andare avanti con questi articoli, con la consapevolezza che i miei lavori sono a voi graditi.
Immagine di copertina presa da www.billboard.it