Encanto, ovvero 84 anni di convenzioni abbattuti in 102 minuti

Buongiorno gente.

Ognuno di noi – a meno che fino ad ora abbia vissuto sotto una roccia – ha visto almeno un film della Disney durante la sua infanzia. E sono sicuro che a qualcuno di voi continuano a piacere. Pochi mesi fa è uscito il nuovo film Encanto, sessantesimo classico Disney: vedendolo e pensandoci bene, credo che la Walt Disney Productions abbia voluto, in un certo senso, demolire i vari standard e luoghi comuni delle sue opere precedenti attraverso i suoi personaggi. Non sarebbe la prima volta che la Disney gioca sui suoi stereotipi: basti pensare a come vengono parodiati in Come d’incanto e Ralph Spacca Internet o ai nuovi modelli femministi di principessa proposti, per citare solo i film più recenti, da Ribelle, Rapunzel – L’intreccio della torre, Frozen – Il regno di ghiaccio o Oceania: tuttavia Encanto rappresenta un’esplorazione più completa di questi concetti e dei loro lati negativi. E penso che i vari personaggi principali rappresentino bene quello di cui voglio parlare.

Partiamo dal personaggio più ovvio, e il primo che mi è venuto mente: Isabela Madrigal, giovane figlia prediletta della famiglia Madrigal (che non è di lignaggio reale, ma che all’interno di Encanto svolge essenzialmente la stessa funzione), incarnazione della perfezione e della femminilità con i suoi poteri florocinetici e promessa sposa dell’aitante giovane Mariano Guzmán. Tutte queste caratteristiche descritte sulla carta sarebbero il ritratto del più puro archetipo della classica principessa Disney, come altri già hanno notato prima di me: pura, graziosa, dalla vita perfetta e dall’inattaccabile sorriso. Eppure Isabela non è veramente così. Lei nella prima parte del lungometraggio è una ragazza frustrata, snob e nonostante lei voglia bene alla sorella Mirabel, non lo dimostra molto spesso, se non quasi mai. Tuttavia, durante la scena del confronto tra Mirabel e Isabela, si mostrano nuovi livelli nascosti del personaggio: la sua frustrazione nel dover mantenere una facciata di perfezione e di non poter esprimere appieno le sue preoccupazioni e le sue vulnerabilità, lo stress e la pressione di dover continuare ad indossare questa maschera per almeno sedici anni, e la prospettiva di venire costretta a sposare un uomo da lei non amato, tutto per il bene della famiglia, finalmente si palesano durante il suo sfogo con Mirabel, e nel suo numero musicale What Else Can I Do? (in italiano: Cos’altro farò?) avviene il suo cambiamento radicale su più livelli: i suoi poteri si evolvono, nella fattispecie acquisendo la capacità di far crescere ogni tipo di pianta e non solo fiori, il suo outfit da rosa diventa nero con vari colori e i suoi capelli neri, lisci e fluenti vengono parzialmente tinti e soprattutto, una volta sfogate le sue preoccupazioni e distrutta la maschera di perfezione, il suo atteggiamento nei confronti di Mirabel migliora sostanzialmente. Questo arco narrativo di Isabela rappresenta una confutazione dell’archetipo della principessa Disney, mostrando i lati negativi in un’ideale di vita “perfetta”: in questo si possono identificare anche molte giovani, educate dalla società ad aderire agli standard irrealistici e utopistici di femminilità e di perfezione da “principessa” a cui la Disney ha sostanzialmente contribuito, e incapaci di esprimere la loro vera essenza, tanto che alcuni hanno visto in questo personaggio una metafora per il processo di coming out che coinvolge numerose persone appartenenti alla comunità LGBTQ+.

Continuiamo con l’altra discendente del ramo di Julieta e Agustín Madrigal, Luisa: la figlia di mezzo, dotata di una forza erculea sovrannaturale e, a detta di molti, dei bicipiti più muscolosi di tutta la storia Disney. Forte, tosta, altruista, sempre pronta ad aiutare il prossimo e perennemente occupata nelle sue mansioni, Luisa non può non rimandare alla mente la controparte maschile della “principessa”: l’eroe. Come nella canzone descritta poc’anzi, What Else Can I Do?  il numero musicale di Luisa, Surface Pressure (in italiano: La pressione sale), esprime tutte le sue insicurezze e le sue paure, fino ad allora tenute segrete per poter mantenere l’immagine di Luisa come pilastro incrollabile della comunità, il suo stress accumulato durante anni di duro lavoro (porta, tra le altre cose, intere chiese sulle spalle) e la pressione derivata da tutte le responsabilità poste sulle sue spalle: dopo aver ricevuto il conforto della sorellina Mirabel, Luisa impara a rilassarsi e a non portare per forza tutto il peso del mondo sulle sue spalle, come ha fatto per i passati quattordici anni. Da qui notiamo che Luisa rappresenta l’ideale dell’eroe altruista, con un’evidente ispirazione al personaggio di Ercole, già rappresentato dalla Disney nella pellicola Hercules, ma ne fa vedere soprattutto i lati più fragili e umani, ricordandoci che sarà sì una ragazza dotata di forza e abilità sovrumane, ma è pur sempre una diciannovenne che, come tutti i ragazzi di quest’età, ha anche lei le sue turbe e le sue ansie, che non dovrebbero mai essere ignorate.

Il terzo personaggio da analizzare è quello di “Abuela” Alma Madrigal: la matriarca della famiglia e suo capo incontrastato, è lei a incitare i vari Madrigal a dedicare la propria vita al servizio alla comunità con i loro poteri già da piccoli: se da una parte questo rappresenta il tipico atteggiamento da regina saggia e matura, e buona reggente a cui i diversi film Disney ci hanno abituato, dall’altra vediamo i vari effetti che questa tossica politica utilitaristica attuata sui membri della famiglia ha su di loro: la frustrazione di Isabela, lo stress di Luisa, il peggioramento dello stato emotivo di Pepa e il trattamento di Mirabel come pecora nera della famiglia, essendo lei l’unica non dotata di un potere speciale. Ma verso la fine del film si scopre, come in tutti i personaggi descritti prima, un lato inedito in lei, ovvero quello di una donna colpita da un’immane tragedia, incapace di lasciare andare il passato e ossessionata dal meritarsi il miracolo che dopo il sacrificio dell’amato Pedro ha benedetto lei e la sua progenie: questo avviene, come nei casi precedenti, attraverso un numero musicale, Dos Oruguitas (in italiano: Oruguitas innamorate), ma con due sostanziali differenze. Innanzitutto non è Abuela Alma a cantare, ma un narratore esterno – in questo caso la soave voce del cantante Sebastián Yatra (o Alvaro Soler in italiano) – che narra la storia, attraverso l’allegoria di due bruchi innamorati costretti a far fronte ad un mondo in costante cambiamento, di Pedro e Alma e del dolore di quest’ultima; poi, mentre gli altri numeri prevedevano sequenze di azione e intenso movimento, nelle quali Mirabel interagiva direttamente con i vari personaggi e le ambientazioni, questo è un puro flashback dove la protagonista si limita a essere un’osservatrice, capendo la sofferenza tenuta nascosta da sua nonna per cinquanta anni e riconciliandosi con lei dopo la lite avvenuta poco prima.

Concludendo con Mirabel lei si può considerare, come viene ritenuta anche all’interno della sua famiglia, un caso a parte. Infatti è l’unico dei personaggi rappresentati che non è una ripresa di un archetipo Disney precedente, ma rappresenta il protagonista moderno, il tipo di eroe che è molto prevalente nei media odierni: l’everyman, il personaggio con cui lo spettatore si identifica in quanto uguale a lui, con le sue stesse risorse e abilità. Infatti noi vediamo che Mirabel è una ragazza normalissima (giudicata anche “troppo” normale, data la famiglia di cui fa parte), senza aver ricevuto, al contrario del resto della prole Madrigal, un dono al compimento dei cinque anni. Tuttavia lei riesce, esclusivamente grazie alle sue qualità, a migliorare lo stato mentale di tutta la famiglia, a curare la tossicità causata da questa situazione e a riparare i legami familiari che già da tempo venivano messi alla prova dalle politiche utilitaristiche di Abuela Alma: politiche che avrebbero prima o poi portato al collasso di Casita Madrigal e di tutta la famiglia. Grazie a questo ruolo di “collante” della famiglia è ormai opinione diffusa tra i fan che in futuro Mirabel diventerà la nuova portatrice della candela, e di conseguenza la nuova matriarca.

Ci sarebbero anche molte altri elementi e rimandi, come il fatto che il numero best-seller We Don’t Talk About Bruno (in italiano: Non si nomina Bruno) sia un’efficace riedizione e sovversione della classica canzone del villain dei film Disney, di come l’Encanto ricordi leggermente il villaggio de La Bella e la Bestia; si potrebbe parlare anche della somiglianza a livello concettuale tra The Family Madrigal (in italiano: La famiglia Madrigal) e il numero introduttivo del film precedentemente citato, Belle (in italiano: Il racconto di Belle), di come il personaggio di Mariano rappresenti un po’ la parodia del classico principe azzurro, sia nel personaggio in sé che nel suo destino e della relegazione in secondo piano della sottotrama romantica per fare spazio all’amore familiare. Ma se parlassi di tutto quanto in maniera approfondita credo che l’articolo verrebbe troppo lungo e prolisso, cosa che non è affatto mia intenzione.

In conclusione io penso che, alla luce di questi dettagli, Encanto sia la metaforica palla demolitrice che fa crollare fin dalle fondamenta delle convenzioni poste dalla Disney in più di ottantaquattro anni di storia: molto più appropriato, se si considera che il film in questione è il sessantesimo classico Disney. Ed è proprio per questo che secondo me è uno dei migliori film dell’era revival della celebre casa cinematografica.

Appendice dell’autore

Salve gente.

Inizio dal chiedervi scusa per questa lunga assenza di questi tempi, ma un misto di problemi tecnici, personali e di intensi impegni scolastici ha reso questi mesi più intensi del previsto.

Ho mandato al direttore questo articolo, insieme agli altri due che avevo finito, ma di cui non sono mai riuscito a fare la revisione: colgo l’occasione per ringraziarlo non solo per l’opportunità a me data di scrivere qui, in questo giornalino, opportunità per scrivere dei miei pensieri, di ciò che so e di ciò che mi piace raccontare, ma anche per l’apprezzamento dimostrato nei confronti dei miei articoli e delle mie storie.

Ora, non so cosa farò dopo quest’esperienza, o meglio non so che farò con la scrittura. Mi metterò a scrivere in privato, mettendo su un blog o qualcosa del genere (possibilità che sto già contemplando)? Abbandonerò la penna? Continuerò a raccontare queste mie storie? Chissà.

Intanto, volevo ringraziare un po’ di persone: la redazione dell’Augustus, per il supporto dimostrato alle mie idee, il direttore Leandro Stroppa per i motivi da me citati prima, chiunque mi abbia aiutato con i dati e le nozioni nei miei articoli – scrivendo i quali ammetto di aver imparato io stesso più di quanto immaginassi – ma soprattutto voi, che avete letto e apprezzato i miei articoli, li avete supportati e sostenuti: grazie davvero, è veramente bello sapere che il tuo lavoro, le tue storie e la tua scrittura vengono apprezzati dal pubblico. Inoltre spero che questi miei scritti non solo vi abbiano intrattenuto, ma vi abbiano fatto conoscere  un qualcosa di nuovo, per quanto frivole possano essere queste nozioni e storie, e che in alcuni casi vi abbiano addirittura stimolato qualche riflessione.

Vi voglio bene, gente: auguro un buon proseguimento per chi rimarrà, e faccio un in bocca al lupo a chi, come me, se ne andrà e dovrà sottoporsi alla maturità quest’anno.

Beniamino Gatto, per l’ultima volta, passa e chiude.

Autore

Beniamino Gatto

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