“Gli spiriti dell’isola” – Recensione

Film di Martin Mcdonagh con Colin Farrell, Brendan Gleeson, Kerry Condon e Barry Keoghan del 2022

1923, siamo agli sgoccioli della guerra civile in Inghilterra.
La storia è ambientata su “Inisherin”, isola immaginaria in cui gli abitanti, completamente disinteressati delle sorti del conflitto in corso, alle prese con l’agricoltura e frequenti bevute al pub, vivono una vita fuori dal mondo.
La normalità viene sconvolta quando il violinista Colm si rifiuta di continuare a frequentare il mandriano Padraic, che fino al giorno prima lo considerava il suo migliore amico.

Mcdonagh torna a dirigere il duo Farrell- Gleeson per la seconda volta dopo il meraviglioso “In Bruges”. La narrazione è condotta in modo tale da riuscire a comprendere il punto di vista di entrambi gli amici, per quanto il film si preoccupi di farci percepire la sensazione di desolazione e solitudine che avvolge il personaggio di Pàdraic, che non può fare nulla di fronte alla scelta dell’amico.
L’abile e invidiabile penna di Mcdonagh si diverte come di consueto nella scrittura dei meravigliosi dialoghi colmi di ripetizioni, intuizioni ed elementi che la sceneggiatura tiene a far tornare in un modo o nell’altro nella storia, con un incredibile gusto narrativo.
Le parole dei protagonisti (anche se spesso grottesche) sono estremamente dirette, lasciano poco spazio ad eventuali interpretazioni e in questo sanno come essere dolorose e strazianti per lo spettatore.
Il pubblico, proprio come il protagonista però, non volendo arrendersi e rassegnarsi a quello che sembra essere inevitabile e spiacevole, finge di travisare il significato di tali parole, di sperare che si tratti di un’incomprensione pur di non soccombere alla disperazione.
Con un ritmo sinuoso e dei dialoghi sempre frizzanti, la narrazione procede costruendo una suspence che inchioda lo spettatore alla poltrona e lo immerge in un tour de force di emozioni.
Il meccanismo di suspense consiste nella speranza da parte dello spettatore che i vari tentativi di riconciliazione da parte del personaggio interpretato da Colin Farrell vadano a buon fine, unita alla paura che questi possano fallire.
Quando tutto sembra perduto il film si diverte a creare illusioni e a rilasciare la tensione, per poi tornare a sbatterci in faccia la realtà, difficilmente accettabile.
Mentre compatisce il povero Pàdraic alle prese con la solitudine, il pubblico comprende i tormenti del personaggio di Brendan Gleeson e il film tocca con una leggerezza solo apparente temi quali l’ineluttabilità del destino e la consapevolezza di aver trascorso un’esistenza inutile e senza scopo.
Come di consueto, nel cinema di Mcdonagh i protagonisti perseguiranno con ossessione e testardaggine i loro obiettivi e le loro ossessioni mentali, anche quando la logica non è dalla loro parte, anche quando a pagarne il caro prezzo saranno persone molto vicine a loro.
Ad esempio la Mildred Hayes di “Tre manifesti a Ebbing Missouri” va avanti nella sua lotta personale contro la negligenza della polizia, anche quando tutti sembrano allontanarsi da lei e dalle sue scelte, il folle Billy di “Sette Psicopatici” pur di giungere ad una cinematografica sparatoria con gli antagonisti metterà a repentaglio la vita dei suoi più cari amici, tentando senza sosta di mettere in atto il suo piano.
Lo spettatore, anche quando le scelte dei protagonisti finiscono per compromettere gli altri, non riesce mai a giudicarli come “sbagliati”, poiché arriva a comprendere il loro pensiero (spesso folle) e soffre insieme a loro nel vedere alcune scelte che sul mondo esterno si tramutano in violenza.
I personaggi si riempiono inevitabilmente di sensi di colpa nel vedere le terribili conseguenze delle loro azioni, ma nonostante ciò, la loro decisione rimane irremovibile.
Il pubblico si rispecchia nel punto di vista e nei dolori di tutti, e la mancata possibilità di scampo da un perverso meccanismo di ripicche e gesti folli rende la conclusione apocalittica e di una potenza enorme.
Ritroviamo nel cinema di Mcdonagh l’amore incondizionato per gli animali, che spesso arriva a superare quello per i propri simili e che diventa un altro motivo di ossessione.
Pensiamo al Charlie Costello del già citato “Sette Psicopatici”, criminale sanguinario che non esita a sparare ad una donna, ma che piange quando non riesce a ricongiungersi con l’amato cane.
Anche in “Gli spiriti dell’isola” troviamo questo tema, trattato con la solita maestria dal regista.
In un film così umano, improntato sulla psicologia dei personaggi, la scelta di inserire un elemento mistico e soprannaturale di un inquietante personaggio che prevede il futuro risulta leggermente fuori luogo, per quanto doni alla pellicola un’aura di mistero e alcune scene dai risvolti comici memorabili.
Meravigliosi i personaggi di contorno, tutti caratterizzati in maniera ineccepibile, stessa cosa vale per l’ambientazione che regala suggestivi scorci paesaggistici.
Le numerose risate degli spettatori si tramutano in altrettante smorfie di dolore e viceversa, tutto è amalgamato alla perfezione.
Da vedere a tutti i costi.

Voto – 9.5

Autore

Jacopo Carosi

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