«To tell you the truth of it, child, you’re astounding.»
Beth è orfana, sola, arrabbiata, e dopo il suicidio della madre si ritrova in un orfanotrofio più simile ad un ospedale psichiatrico che ad una casa, dove alle piccole ospiti vengono somministrate delle colorate pillole verdi che, più che tranquillanti, sono stupefacenti. Nel seminterrato della villa incontra un custode solitario che gioca a scacchi con se stesso e che le insegna le regole del gioco; in poche settimane appare evidente che Beth è un prodigio, e che il suo futuro si giocherà su quelle caselle. Gli scacchi diventeranno per lei una via di fuga, un’ossessione, tanto che le pillole verdi verranno religiosamente conservate per provocare vivide allucinazioni, e giocare interminabili partite.
«Do you see it now? Or should we finish this on the board?»
Anya Taylor-Joy presta a questo personaggio il suo sguardo magnetico, freddo eppure vivo, che, strafottente e testardo, sfiderà i suoi avversari lungo tutta la serie. Beth ottiene sempre ciò che vuole con metodo, pazienza e cocciutaggine, ma anche con l’intuito di chi sceglie il momento giusto. Ormai adolescente, viene adottata come ultima spiaggia per salvare un matrimonio che sta colando a picco: la madre adottiva è una malinconica pianista e il padre adottivo compare sullo schermo solo per sparire poco dopo dalla vita delle due. Ma Beth non ha rinunciato agli scacchi, vince un torneo dopo l’altro, e quando la madre si accorge che con il talento della figlia si possono vincere lauti premi, avvia la carriera da scacchista della ragazza, in giro per tornei prima di tutta America, poi di tutto il mondo.
«Creativity and psychosis often go hand in hand. Or, for that matter, genius and madness.»
The Queen’s gambit segue uno schema già visto: la storia di un genio con un’infanzia difficile, tanto brillante nella disciplina in cui eccelle quanto sregolato in altri aspetti della sua vita privata. L’altra faccia delle medaglie che Beth vince con il suo talento: la solitudine. Nella serie la vediamo coltivare solo relazioni fredde e distaccate, non si appoggia mai a niente che non sia il verde delle pillole o del fondo di una bottiglia. Ossessionata, dipendente, sopravvive attaccandosi strenuamente alle regole precise delle caselle, ai calcoli matematici degli scacchi, alle fatali mosse dei pezzi.
«I would say it is much easier to play chess without the burden of an Adam’s Apple.»
Raramente si vede questo schema di trama portato avanti da una donna, ancor più raramente se il genio ha un’intelligenza analitica, matematica, come quella che detta le regole di una disciplina quasi unicamente maschile come gli scacchi. Nonostante questo, la serie non cade nel cliché del ‘maschiacio’: Beth, mai frivola ma sempre femminile, flirta, cura la sua mìse ed ama l’eleganza, tanto che i giornalisti la definiscono troppo modaiola per gli scacchi. Lei però, a dispetto delle opinioni della stampa, può essere tutto a trecentosessanta gradi: una donna e un genio. E non chiede scusa per questo, avanza sulla scacchiera, come nella vita, con l’arroganza di una regina che mette sotto scacco un re.
«It’s your game. Take it.»
E finirà proprio per mettere sotto scacco un re, anzi il re degli scacchi, il russo Borgov, costretto a cedere la sua corona. Beth trionfa sullo scacchista, vincendo la partita di Mosca, trionfa sulla sua dipendenza, gettando via le pillole verdi, e trionfa sugli stereotipi, tanto che l’autore del libro da cui
è tratta la serie tv ha affermato: «In passato, molte donne hanno dovuto nascondere il cervello, ma non oggi».
«Let’s play.»