Una madre e una figlia

L’aria è plumbea, pesante, fredda.

A Lara piacerebbe sapere perché diamine sia così necessario andare a parlare fuori – dove si gela – quando lei e sua madre potrebbero benissimo continuare ad insultarsi tranquillamente appollaiate su un divanetto di pelle con in mano un calice di bianco.

Tuttavia, non ha fatto domande e l’ha seguita su per quelle strette scalette di legno cigolanti con un sorriso di circostanza tirato sulle labbra – è rivolto agli amici che ha lasciato in soggiorno, che si stanno domandando il motivo di quell’interruzione.

Presentarsi senza invito alla festa della casa editrice è stato un colpo estremamente basso.

Non che ci sia da meravigliarsi, comunque – sua madre adora le entrate ad effetto.

E così ora si trovano l’una di fronte all’altra, in piedi, sul tetto di un edificio di nove piani situato nel centro di New York. Per quanto la riguarda, Lara è divisa tra l’istinto di mettersi a ridere e quello di buttarsi di sotto per non essere costretta a sopportare quel silenzio snervante.

Nel dubbio, sceglie di accendersi una sigaretta – non fuma più da almeno un anno, ma questo e altro pur di non dover essere costretta a guardare in direzione di una donna che le assomiglia almeno quanto i loro caratteri sono diversi tra loro.

“Sarò stata una madre poco presente, ma tu sei stata una pessima figlia.”

Dunque hai letto il mio libro… – si compiace la ragazza, mettendo via l’accendino – È per questo che sei venuta…

“Non eri poco presente.” -dice poi, ostentando nonchalance- “Eri assente. Ma sto bene.”

Grazie per averlo chiesto. – aggiunge nella sua testa.

Sua madre la guarda con quel sorrisetto beffardo che ha ogni volta che sta per dire una cattiveria.

“Sono tornata a New York per riuscire ad esserti vicina – e non ti ho mai vista.”

Questo vorrebbe dire che è stata colpa mia?! Vorrebbe dire che avrei dovuto accoglierti a braccia aperte e fare come se niente fosse successo, dopo che ho pianto sotto le lenzuola per anni aspettando che tu ritornassi?! – le sue dita stringono forte la sigaretta.

Non piangere, Lara. Non piangere. Non sei più quella bambina.

“Mamma, non preoccuparti. Tranquilla. Ci hai lasciati a papà, e probabilmente è stato meglio così.”

Lo sguardo di sua madre si incupisce. Fa un passo in avanti, che le rende pericolosamente vicine: abbastanza per un abbraccio, o per uno schiaffo.

“Gli ho lasciato la custodia perché poteste tenervi le quote e io potessi proteggere i vostri interessi.” -il tono di voce di sua madre è più alto del normale- “Hai scelto tu: io prendo la carbonara… e papà, per favore!”

“Io non ho scelto niente!”

“Tanto ottieni comunque quello che vuoi.”

“E tu no?”

Lara ripenserà in seguito a questo momento come all’unica volta in cui abbia mai visto sua madre mordersi il labbro e abbassare lo sguardo.

“Penso di non aver mai vinto una sola battaglia in tutta la mia vita.”

“Avevo dieci anni, mamma. Ero una bambina.”

“Ne avevi tredici. E sapevi rigirare il coltello nella piaga. Lo sapevi al tempo… e lo sai anche adesso.”

Il silenzio che segue è più agghiacciante dell’inverno newyorkese.

Al piano di sotto, gli amici di Lara, i suoi colleghi, continuano a ridere e a brindare al successo del libro.

“E io potrei piangere.”

L’autrice guarda sua madre: i suoi occhi sono lucidi. O forse è il riflesso del lampione che illumina il tetto della casa editrice?

“Certo…” – mormora con un sorriso stanco di cercare la verità negli occhi di quella donna- “Dov’è la cipolla?”

La stretta di sua madre intorno al suo polso è forte, decisa. Rancorosa. Proprio come la ricordava.

“Sei proprio una bella tipa! Eri tu la mia cipolla!” -le grida si sentono fin dalla strada- “Sei la mia cipolla.” -questo sibilo, invece, non lo sente nessuno. Solo una figlia, e una madre.

Ora la donna piange. Anche Lara vuole piangere… ma no. Tutto, ma questa soddisfazione no.

“Beh… tu sei la mia.”

La presa si allenta. Un braccio cade lungo il fianco, una mano si asciuga le lacrime.

La madre di Lara indietreggia con calma, e con la stessa calma a dir poco snervante tira fuori una sigaretta, e un accendino. Lara si era dimenticata di avere ancora in mano un mozzicone. Lo spegne schiacciandolo con la punta della scarpa, e ne accende un’altra.

Domani è un buon giorno per smettere di nuovo.

“La verità è che probabilmente non avrei mai dovuto avere figli.” -dice la donna, guardando un punto lontano- “Hai preso la decisione giusta. Alcune persone non sono fatte per essere madri.” -forse è un bene che il fumo le impedisca di vedere una goccia sulla guancia di Lara- “Dovevo prendermi dei cani.”

“Potevi prenderteli.” -la ragazza pensa a un enorme pastore tedesco che dorme nel suo letto, e si domanda se sua madre non sarebbe stata più soddisfatta così.

“No, non con tuo padre. Se amava qualcosa gli dava un calcio, solo per vedere se alla fine sarebbe tornata.”

Lara si avvicina a sua madre. Ora guardano entrambe nella stessa direzione.

Passeranno la serata in silenzio a fumare insieme, al freddo, sul tetto di una piccola casa editrice di New York.

Non saranno mai vicine come adesso. Mai.

Autore

Sara Madama

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